Giovanni Angoscini vende vino italiano in Cina e distribuisce vino in Italia. I fedelissimi di questo blog ricorderanno una mia intervista nella quale Giovanni offriva originali spunti di riflessioni su come vendere vino in Cina.
Se non l’avete ancora letta, dopo questo post, dovete assolutamente recuperare.
Ho sentito Giovanni un paio di giorni fa per proporgli di scrivere un pezzo che rispondesse a una semplice domanda: come è cambiato l’approccio commerciale al mercato del vino italiano in Cina, e che parte sta avendo il digitale in tutto questo. Ok, forse sono due domande diverse, ma i temi sono strettamente collegati.
Mi ha regalato un racconto, una storia, la fotografia di un presente oggi più incerto che mai, e una serie di preziosi spunti dei quali far tesoro. Buona lettura!
Il mercato del vino italiano in Cina in tempo di pandemia – di Giovanni Angoscini
La Cina mi manca. Ho qualche amico vero, molti colleghi e conoscenti, tante persone con cui a intervalli piuttosto regolari e per lungo tempo mi sono scambiato impressioni, qualche dato, previsioni sul futuro e preziose informazioni sul presente.
Frequento la Cina ormai da una decina di anni, e mai avrei pensato che questo distacco forzato potesse fare così male.
Chi lavora con la Cina sa che tutto è sempre in continuo cambiamento e che il tempo con cui questo cambiamento si misura è l’attimo. Un attimo prima funziona, poco dopo non se ne trova più traccia.
Avviene con i locali, che aprono e chiudono senza preavviso e in continuazione, con la vita delle persone, che cambiano città e lavoro di frequente, con le abitudini. E con la comunicazione, che corre rapida inseguendo attimo dopo attimo il cambiamento.
È di ieri la notizia della chiusura del ristorante asiatico Hakkasan, che qualcuno descrisse brillantemente già la notte del grand opening come “The most sexy Chinese restaurant, ever”. Aperto a marzo 2014, una location da brivido nel Bund con impressionante vista sui grattaceli di Pudong, costi fissi da grande capitale mondiale e business distrutto a inizio 2020 dall’emergenza Coronavirus. Abbiamo parlato con il capo dei sommelier e pure con il restaurant manager; pare abbiano appreso della chiusura dalla nota diramata dalla società, diventata immediatamente virale su WeChat, non prima. Resterà un punto di riferimento assoluto nella ristorazione cinese di classe. Io ne serberò personalmente grandi ricordi!
L’emergenza Coronavirus ha attaccato la Cina con una violenza e una rapidità impressionanti; a Shanghai ne hanno subito percepito la gravità, e hanno tutti semplicemente cercato di non ammalarsi. Certi avvertimenti iniziali, che parevano un po’ sproporzionati, sono stati presi alla lettera e, molto pragmaticamente, le persone hanno banalmente smesso di uscire di casa.
Tutto il business si è interrotto e il tutto (rapporti, relazioni, marketing, vendite..) si è andato se possibile ancor più radicalmente digitalizzando.
Da un lato l’e-commerce, con numeri davvero impressionanti nell’immediato post lockdown, e tutto che passa, ancor più di prima, da WeChat. Una comunicazione rapidissima, molto netta e precisa, che lascia poco spazio al sentimento.
È così che, ormai da metà gennaio, stiamo comunicando con la Cina. Sono rientrato da Shanghai a metà novembre circa, dandomi il cambio con l’altro socio italiano. Lui è poi rientrato a inizio dicembre, quando di quest’emergenza non c’era traccia. Avrei dovuto volare nuovamente a Shanghai a fine gennaio, con visto rinnovato e biglietto pronto, ma dalla Cina mi hanno prima caldamente sconsigliato e poi direttamente proibito di andare. Mi sono arrivati per settimane amichevoli inviti da amici e conoscenti, questa era certamente la loro buona intenzione, che suonavano come minacce o sentenze definitive.
Mi permetto qui una considerazione piuttosto semplice, che spero non suoni banale: la popolazione cinese ha innanzitutto cercato di non contrarre in alcun modo il virus. Noi abbiamo pensato, perlomeno in una prima fase, che se anche ci fossimo ammalati qualcuno ci avrebbe semplicemente dovuto curare e guarire. Quando i miei amici cinesi hanno saputo che il virus stava toccando direttamente nostri conoscenti, o le nostre famiglie, ne sono rimasti sconvolti. In effetti, conosco qualche persona colpita con diversa gravità dall’epidemia in Italia, ma a oggi non ho notizia di un solo conoscente o parente di amici coinvolto in prima persona a Shanghai.
Così, in un attimo, abbiamo dovuto riorganizzarci per cercare di resistere durante il periodo dell’epidemia, cercando possibili soluzioni per provare ad avere risorse da investire quando, come tutti ci auguravamo, i consumi cinesi e l’intera economia avesse rimbalzato.
Siamo stati costretti ad accelerare proprio mentre tutto si stava fermando. Siamo stati obbligati ad adattare la nostra comunicazione, per la verità molto tradizionale e un po’ snob, a esigenze di mercato, già presenti, che sono diventate l’unico modo possibile di vendere. Abbiamo ripensato la nostra immagine e adattato i cataloghi e i listini a una comunicazione super-veloce che ha bisogno di informazioni chiare e immediate e che non offre una seconda possibilità per recuperare a eventuali errori.
Non ho mai passato così tanto tempo al telefono nella mia vita; prima per comunicare con conoscenti, amici e clienti a cui volevamo dimostrare la nostra sincera vicinanza in un momento così inaspettatamente complicato. Poi, quando chiusi in casa abbiamo iniziato a starci noi, per cercare di portare avanti la nostra attività.
Per motivi pratici e contingenti non abbiamo mai spinto particolarmente il canale delle vendite online. Competere con le gigantesche piattaforme non avrebbe avuto alcun senso, cedere a loro parte dei nostri margini e, in un certo senso, della bella immagine e reputazione che ci siamo costruiti nel tempo grazie al sostegno delle cantine con cui lavoriamo, non ci andava e basta. La situazione d’emergenza in cui ci siamo trovati a lavorare ci ha costretti al ripensamento: così abbiamo dato una nuova struttura, più snella, ai nostri listini e abbiamo deciso di essere più aggressivi nei prezzi convincendo, al contempo, i principali operatori che dominano la vendita online a rispettare certe nostre esigenze (principalmente il prezzo di vendita al cliente finale, per non rischiare di compromettere il lavoro fatto con la ristorazione in tutti questi anni).
A marzo, dopo un gennaio e febbraio disastrosi, abbiamo ricominciato e vedere la luce. Inizialmente abbiamo lavorato con l’operatore più forte, per poi venire direttamente contattati anche da altri, di dimensioni meno imponenti, ma capaci di una comunicazione meno aggressiva sul prezzo.
Tutti questi contatti e le conseguenti trattative sono passate da WeChat. Nei nostri moments di WeChat abbiamo postato fotografie dei nostri vini con brevi ma incisive descrizioni, racconti di nostre esperienze con i produttori, ma anche immagini delle nostre bevute più o meno in quarantena, e le richieste principali ci sono poi giunte da lì.
Stiamo lavorando da inizio marzo quasi esclusivamente con piattaforme e-commerce e clienti privati, sempre contattati direttamente o per word-of-mouth, grazie ai contenuti proposti online.
Per supportare il lavoro degli operatori e-commerce ci siamo impegnati a produrre per loro, con scadenza periodica, contenuti di qualità (articoli a tema che introducessero i nostri prodotti o che stimolassero semplicemente uno scambio di opinioni tra i loro numerosissimi e fedeli clienti) che ci aiutassero a sostenere le vendite.
Con i clienti privati, diretti o indiretti che fossero, abbiamo offerto una presenza più o meno costante che gli permettesse di essere guidati nelle loro scelte e seguiti nei loro acquisti con un notevole impegno di tempo anche nel post-vendita.
Il segreto è essere sempre disponibili, non ritardare troppo nelle risposte, cercando di accorciare per quanto possibile le distanze. Di nuovo, cogliere l’attimo.
Gli effetti principali di questo nuovo, per noi, modo di comunicare e vendere sono piuttosto eclatanti: stiamo allargando la nostra base di clientela privata, la capillarità delle piattaforme e-commerce ci consente di far conoscere i nostri prodotti in luoghi e città altrimenti inarrivabili, abbiamo un flusso di cassa decisamente più “sano” rispetto al passato.
I lunghissimi tempi della vendita tradizionale, i suoi notevoli costi, i grandi sforzi economici e il tempo speso in lunghissime e spesso inutili trattative sono un ricordo non troppo lontano di un modo di fare business che onestamente non ci manca.
È ormai chiaro che ci fosse qualcosa di sbagliato nelle dinamiche tradizionali, che qualche operatore scorretto (da ambo le parti) ha portato all’estremo, rendendo sempre più difficile e meno di soddisfazione il nostro lavoro. Da quest’esperienza abbiamo deciso di rivoluzionare in qualche modo anche il nostro modo di lavorare off-line: faremo selezione dei clienti, rinunciando probabilmente ai volumi, saremo molto più rigidi sui termini di pagamento in modo da poterci concentrare su ciò che più conta: la nostra capacità di selezionare fornitori e collaboratori, la volontà di raccontare prodotti che vanno spesso spiegati, e dedicare più tempo a chi merita la nostra attenzione.
Mi permetto una chiosa: faccio questo lavoro anche in Italia, e l’opportunità di lavorare con la Cina mi ha offerto una visione di qualche mese anticipata di ciò che avrebbe potuto accadere in Europa.
Nel nostro caso specifico, con alcuni precisi interventi siamo riusciti a potenziare le nostre vendite online di vino e alimentari trasformando, nella pratica, l’enoteca del centro storico di Brescia (il più tradizionale e “vecchio” modo di vendere) in un negozio online con consegna a domicilio nella nostra provincia.
Così, al crollo verticale della vendita ingrosso abbiamo provato a sopperire con il ritorno alla vendita al dettaglio, ma con modalità più smart. La nostra grande sfida potrebbe proprio essere questa: la ricerca di nuove sinergie tra i differenti approcci e sistemi di vendita, portando gradualmente tutti i tipi di cliente a ricorrere sempre più al digitale per le proprie richieste (ordini, consegne, logistica…) costringendo noi a ricercare nuove e più brillanti soluzioni per superare i classici limiti e problemi del nostro lavoro.
Assolutamente niente di nuovo… ma ci è voluta una pandemia per costringerci a ri-pensarci!
Due note su Giovanni
In relazione al mercato cinese Giovanni è socio, con Fabio Ferrari, della Zefiro-Group Srl.
È inoltre socio, insieme a Luigi Bagassi, della distribuzione Giacimenti e dell’enoteca A La Cave in centro storico a Brescia.
Questo post contiene alcune informazioni che spero possano esserti d’aiuto concreto. Se vorrai condividerlo ne sarò felice.
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